Si gioca bene o male, o più probabilmente in un punto intermedio e molto confuso tra male e malissimo, ma non è questo che conta.

Vorrei ancora una volta provare a distogliere la vostra attenzione dai colpi, così poi potrete dire che è colpa mia quando sbagliate, e invitarvi a osservare ciò che avete intorno in un campo da golf.

Perché girandovi e osservando, vedrete verde.

E non limitatevi all’agognato green, inteso come luogo d’arrivo. Cercate tutte le sfumature, variabili, con le stagioni, con la posizione geografica, con l’altezza sul livello del mare.

C’è il verde rassicurante, ma un po’ omogeneo dei fairway e quello più grifagno dei rough, a volte, l’inganno è terribile, c’è un verde acqua e sotto c’è proprio l’acqua, c’è quello bonario ma temutissimo degli alberi.

Questi sono diversissimi, conosco bene il verde stabile dei pini mediterranei, molto più intenso se visto dall’alto, mentre da sotto, dove si trova quasi sempre il giocatore, è il tronco a far paura mentre le foglie quasi non hanno colore.

C’è il verde un po’ più scuro degli ulivi, e quello simile delle querce, c’è quello spietato dei cipressi ingoiatori di palline, quello scialbo dei pioppi che di solito non sono troppo crudeli con i giocatori.

Poi c’è quello vivo o polveroso dei cespugli: la macchia mediterranea di solito non dà scampo al golfista, salvo nelle rare chiazze di terreno pulito. Ma regala un verde molto acceso, anche se non chiaro, con i corbezzoli e il mirto.

Nei rovi di more meglio non entrare sennò tanti saluti alla pallina, e lì il verde sfuma con il bruno dei rami. Salendo avrete il verde intenso dei fairway montanari e dei piccoli abeti.

Un po’ ovunque il verde-giallo della festuca, nel centro Italia anche il verde scuro e forte delle piantine che crescono nei rough e complicano l’impatto con la palla.

Insomma, guardateli un po’ tutti e imparerete qualcosa, è una veduta continua, un paesaggio da dipingere con la mente.

Un colore che ci avvolge, mischiando in uno sguardo tutte le tonalità che si è provato sommariamente a elencare, e, con il suo noto effetto calmante, dà una frenata alla rabbia per gli sbagli in campo. È un colore pacifico, riposante per l’occhio.

Ma è anche il colore che dice di passare ai semafori, mentre il più battagliero rosso impone lo stop (durante la Rivoluzione culturale, in Cina, le guardie rosse si chiesero se non invertire le cose, visto che il rosso doveva essere il colore del progresso e quindi era contraddittorio usarlo per fermare, ma non si saprebbe dire se l’inversione dei colori venne sconsigliata dal timore di incidenti, non politici ma stradali).

È il colore dei soldi, grazie al dollaro, ma stranamente è anche il colore dello stare “al verde”, ma il conto in banca, se va in negativo, diventa rosso.

L’albero di Natale è un compromesso verde-rosso con po’ di oro. Nelle città, e chissà forse anche nei deserti (che però ho frequentato meno), si anela al verde.

Assessori si giocano carriere se non lo sanno gestire.

Ne vogliamo un po’ anche in casa, dal vivo con le piante, come citazione in qualche stanza dove se ne sceglie qualche tonalità molto tenue per tinteggiare.

Nei vestiti è sconsigliato, tranne per i Loden, ma con un po’ di bravura si può usare.

Una volta la grande Isa Goldschmid, alla Domenica Sportiva, per dire che aveva finito una stagione intensissima di vittorie, disse che dopo tanto verde desiderava un po’ di blu, un po’ di mare.

Aveva colto il punto alla perfezione.

La casa dei giocatori di golf è il verde.

Ce ne possiamo allontanare per un po’ se ne abbiamo a sazietà, ma sempre lì torneremo.

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