Il golf è pluralista e individualista allo stesso tempo. Un miracolo di equilibrio e, forse, un modello per mandare avanti il mondo.
Prima di arrivare a tanto, però, scendiamo appena appena nella portata dei nostri propositi e avviamoci in un qualunque circolo di golf a vedere che succede con garette e partite tra amici.
Subito incontriamo più modi per organizzare la giornata (pluralismo) e la geniale offerta simultanea del sistema proporzionale (stroke-play, gare a colpi) o del sistema uninominale (il match-play), “first-past-the-post” dicono gli inglesi che il riferimento l’hanno preso con assoluta efficacia dalle corse dei cavalli e non dal golf.
Le gare o anche le partite a colpi (ci si può ben organizzare anche tra amici, senza la mediazione di una segreteria, e questa è ovviamente la variante liberista o addirittura anarchica della questione), che a volte chiamiamo anche “Medal” (ma non sarebbe proprio correttissimo), sono la perfetta approssimazione dei sistemi proporzionali: ognuno per sé, i colpi si contano tutti, la classifica rispecchia esattamente le forze in campo.
In competizioni a squadre, poi, si prova anche il brivido del proporzionale con coalizioni.
Normalmente, però, non dovendo, per fortuna, esprimere poi una maggioranza, ci si accontenta di fotografare proporzionalmente quello che è successo in campo e tanti complimenti ai vincitori.
Direte: ma la maggior parte dei sistemi elettorali proporzionali hanno la soglia di sbarramento.
Beh, quando serve, ovvero quando in campo ci sono giocatori di alto livello, c’è il taglio.
E quello non è altro che una soglia di sbarramento; mentre la sfida dei restanti è una specie di ballottaggio, con un super-ballottaggio eventuale che tipicamente è il play-off (secco su una buca, su 3 in alcune gare storiche, su 18 buche nello US Open).
Il match-play, invece, è una splendida variante, come si diceva, dell’uninominale. In ogni collegio, ovvero in ogni buca, deve uscire un nome vincente, ma c’è, ad ammorbidire il tutto, la possibilità del pareggio, anche a squadre, come succede nella Ryder Cup.
A ben vedere anche nei collegi elettorali si potrebbe pareggiare, difficile ma possibile, e non sapremmo dire che cosa preveda la legge dei Paesi che storicamente usano quel sistema per dirimere il pareggio.
Nel golf invece o ce lo teniamo, mezzo punto per uno, o andiamo avanti a oltranza.
Il bello è che i due sistemi convivono, coinvolgono in giorni diversi gli stessi giocatori, obbligano a elasticità mentale, permettono di confrontare le caratteristiche diverse.
Tecnicamente cambiano anche le regole se si gioca a colpi o a buche, e quando cambiano le regole potremmo quasi dire che stiamo occupandoci di giochi diversi, e invece stiamo dimostrando e sperimentando la straordinaria versatilità del gioco base, dello Ur-gioco del golf, capace di adattarsi a contesti diversi.
Il nostro bel proporzionale a colpi è stato poi genialmente riadattato attraverso il calcolo Stableford.
E lì siamo nei territori del genio, che ci permette, umilmente, di lanciare una proposta. Perché lo Stableford, in realtà, è una specie di proporzionale con collegi chiusi e limitati e premi a forfait.
I colpi si contano, sì, ma il gioco si conclude buca per buca, e si scartano le situazioni tendenti al disastro. Fate un piccolo esercizio mentale e trasportate quel modello in ambiti politici o simili.
Funzionerebbe benissimo: il par di collegio (una percentuale di voti buona, prefissata, mettiamo tra il 15 e il 20%, dà due punti; un po’ sotto c’è il bogey, molto sotto la X, e sopra gradualmente i 3 punti o i 4 o perfino i 5).
Insomma, il golf, le cui prime regole sono precedenti alla Rivoluzione francese, mette a disposizione tante possibilità di organizzazione.
È un gioiello di pluralismo e un tesoro di opportunità. Un po’ si scherza, certo; ma un pensierino alle elezioni Stableford non va escluso.