ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Dal campo da golf al campo dei numeri reali, e ritorno. Un campo da golf, più o meno sappiamo cos’è, il campo dei numeri reali è, per dirla semplicemente, un insieme non vuoto (ricordatevi di specificare non vuoto) caratterizzato dalla possibilità, per tutti i suoi elementi, di svolgere somme e moltiplicazioni secondo regole costanti (vedete che nella definizione teorica i due campi un po’ si assomigliano). Vabbé, ho un po’ riassunto e semplificato, però ci siamo.

Nel golf ci limitiamo alle somme, usando le moltiplicazioni, e non solo quelle, quando dal tee di partenza si spedisce più di una palla out… E ci limitiamo a somme di solito abbastanza elementari, 1+1 è lo sviluppo classico, colpo su colpo. E limitiamo il campo, infinito, dei numeri reali, a un altro infinito (ahia), ma, come dire, e mi perdoni il dio della matematica, un infinito un po’ più piccolo, quello dei numeri interi e positivi. E qui cominciano i guai. I numeri interi sono una roba rozza, da conteggio con le dita (a proposito, il sistema è decimale perché abbiamo 10 dita e c’è quella parola “digitale” che ora usiamo tanto e che è una specie di cavallo di ritorno: i latini, partendo dalle dita, indicavano così le cifre, gli anglosassoni l’hanno presa dai latini e l’hanno usata per farne un aggettivo, digital, che vorrebbe dire numerico, noi ce la siamo ripresa nell’éra informatica pensando che si riferisca all’uso delle dita per usare i computer, e ne abbiamo fatto il verbo “digitare”).

Ma forse bisogna scusarsi con i numeri interi: loro non sono rozzi, è l’uso che ne facciamo ad esserlo. Loro sono magari un po’ astratti, stanno lì appesi a una specie di assoluto: 1, 2, 3, ognuno per sé, ognuno separato dal vicino da una specie di fossato invalicabile. E noi pretendiamo di prendere una sfilza di mezzi matti del genere (i numeri interi) e di adattarli a uno sport, a sua volta, da mezzi matti. Come se la razionalità astratta e innaturale di quella serie avesse veramente a che fare con l’approssimazione golfistica. Ma tant’è e così un putt di 5 cm e un colpo in fade per aggirare un bosco da 200 metri sono 1+1. E non si scappa. Anche i matematici veri ammettono che si possono contare pere e mele e arrivare a un totale comune, ma solo a condizione che si accetti che stiamo contando della frutta senza specificarne la natura. Insomma serve un accordo a priori, come succede con le regole del golf.

E perciò dobbiamo anche ringraziarli i numeri interi, perché nel loro assolutismo (governo dispotico ma a volte efficiente) riescono comunque a ricondurre ad uno le infinite interpretazioni della realtà che darebbero i golfisti. Per la matematica 4 è uguale a 4, per i golfisti un 4 non è mai uguale a un altro 4. E poi noi li inganniamo un po’, i numeri. Ci siamo inventati l’handicap. E così ci inerpichiamo anche fuori dal campo dei numeri interi positivi. Un 36 di handicap che fa birdie a un par 3 segnerà sullo score netto (ad esempio in un’eclettica) un bello 0, il numero misterioso che fa girare tutti gli altri numeri (ma che legittimerebbe anche una domanda: e che ci sei andato a fare per portare a casa 0?). E se gli scappa una buca in uno eccoci nel mondo infero dei numeri negativi, -1, roba da brividi. E, per non farci mancare niente, ci siamo inventati la virgola.

Ecco, la virgola è il tentativo di ammorbidire l’assoluto dei numeri interi (e anche degli altri insiemi numerici, per chi fosse curioso: naturali, interi, razionali, reali, complessi). È un’ingenua e generosa approssimazione della vastità dei casi golfistici. Ma ci siamo subito persi (per fortuna) di fronte al caos e la nostra virgola si ferma al primo gradino, ai decimali, e si ritrae spaventata. Mi direte, e la X? Tutti l’abbiamo studiata. A scuola ci dicevano che è l’incognita. Ma i golfisti, invece, la conoscono molto bene.

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