Dal campo da golf al campo dei numeri reali, e ritorno. Un campo da golf, più o meno sappiamo cos’è, il campo dei numeri reali è, per dirla semplicemente, un insieme non vuoto (ricordatevi di specificare non vuoto) caratterizzato dalla possibilità, per tutti i suoi elementi, di svolgere somme e moltiplicazioni secondo regole costanti (vedete che nella definizione teorica i due campi un po’ si assomigliano). Vabbé, ho un po’ riassunto e semplificato, però ci siamo.
Nel golf ci limitiamo alle somme, usando le moltiplicazioni, e non solo quelle, quando dal tee di partenza si spedisce più di una palla out… E ci limitiamo a somme di solito abbastanza elementari, 1+1 è lo sviluppo classico, colpo su colpo. E limitiamo il campo, infinito, dei numeri reali, a un altro infinito (ahia), ma, come dire, e mi perdoni il dio della matematica, un infinito un po’ più piccolo, quello dei numeri interi e positivi. E qui cominciano i guai. I numeri interi sono una roba rozza, da conteggio con le dita (a proposito, il sistema è decimale perché abbiamo 10 dita e c’è quella parola “digitale” che ora usiamo tanto e che è una specie di cavallo di ritorno: i latini, partendo dalle dita, indicavano così le cifre, gli anglosassoni l’hanno presa dai latini e l’hanno usata per farne un aggettivo, digital, che vorrebbe dire numerico, noi ce la siamo ripresa nell’éra informatica pensando che si riferisca all’uso delle dita per usare i computer, e ne abbiamo fatto il verbo “digitare”).
Ma forse bisogna scusarsi con i numeri interi: loro non sono rozzi, è l’uso che ne facciamo ad esserlo. Loro sono magari un po’ astratti, stanno lì appesi a una specie di assoluto: 1, 2, 3, ognuno per sé, ognuno separato dal vicino da una specie di fossato invalicabile. E noi pretendiamo di prendere una sfilza di mezzi matti del genere (i numeri interi) e di adattarli a uno sport, a sua volta, da mezzi matti. Come se la razionalità astratta e innaturale di quella serie avesse veramente a che fare con l’approssimazione golfistica. Ma tant’è e così un putt di 5 cm e un colpo in fade per aggirare un bosco da 200 metri sono 1+1. E non si scappa. Anche i matematici veri ammettono che si possono contare pere e mele e arrivare a un totale comune, ma solo a condizione che si accetti che stiamo contando della frutta senza specificarne la natura. Insomma serve un accordo a priori, come succede con le regole del golf.
E perciò dobbiamo anche ringraziarli i numeri interi, perché nel loro assolutismo (governo dispotico ma a volte efficiente) riescono comunque a ricondurre ad uno le infinite interpretazioni della realtà che darebbero i golfisti. Per la matematica 4 è uguale a 4, per i golfisti un 4 non è mai uguale a un altro 4. E poi noi li inganniamo un po’, i numeri. Ci siamo inventati l’handicap. E così ci inerpichiamo anche fuori dal campo dei numeri interi positivi. Un 36 di handicap che fa birdie a un par 3 segnerà sullo score netto (ad esempio in un’eclettica) un bello 0, il numero misterioso che fa girare tutti gli altri numeri (ma che legittimerebbe anche una domanda: e che ci sei andato a fare per portare a casa 0?). E se gli scappa una buca in uno eccoci nel mondo infero dei numeri negativi, -1, roba da brividi. E, per non farci mancare niente, ci siamo inventati la virgola.
Ecco, la virgola è il tentativo di ammorbidire l’assoluto dei numeri interi (e anche degli altri insiemi numerici, per chi fosse curioso: naturali, interi, razionali, reali, complessi). È un’ingenua e generosa approssimazione della vastità dei casi golfistici. Ma ci siamo subito persi (per fortuna) di fronte al caos e la nostra virgola si ferma al primo gradino, ai decimali, e si ritrae spaventata. Mi direte, e la X? Tutti l’abbiamo studiata. A scuola ci dicevano che è l’incognita. Ma i golfisti, invece, la conoscono molto bene.