ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Vi è capitato mai, giocando, di chiederviche senso abbia per noi Carrellanti (come da decenni a me piace definirci) doversi misurare a volte con assetti di campi particolarmente severi?

Rough alto, fairway stretti e, soprattutto (la variabile peraltro più facile da gestire), posizioni di bandiere proibitive: nascoste dietro un bunker o piantate a un passo dall’acqua o sui punti di massima pendenza.

La riflessione, volendo, ricondurrebbe alle tre domande che valgono sempre: Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?

Le risposte sono semplici,per noi che amiamo il golf come passatempo (non dunque per i ragazzi che praticano l’agonismo vero e devono abituarsi alle sfide più impegnative).

1) Siamo gente che fà altro nella vita e vorremmo divertirci.

2) Veniamo perlopiù da esperienze sportive diverse, ma soprattutto da attività professionali svariate, nelle quali abbiamo dimostrato, fortunatamente, capacità ben maggiori che nel golf.

3) Non vogliamo andare da nessuna parte, né sul Tour né al Masters o ai Major vari. Vorremmo solo girar per campi, goderci la sfida senza però sentirci troppo frustrati e divertirci a suon di sfottò con gli amici. Ogni tanto ci scapperà perfino un vero colpo da golf e, con quell’illusione nel cuore, andremo avanti contenti, specie quando si è fatta una certa… età. In fondo non siamo che golfisti per caso, ma ben lieti di esserlo.

Spessissimo invece ci si ritrovaa misurarsi con set up impegnativi, se non proibitivi.

E il divertimento puro ne risente, specie in un Paese come il nostro in cui, unico caso al mondo, il sistema golfistico ruota tutto attorno al meccanismo delle gare.

Naturalmente riflessioni del genere, espresse ai compagni di gioco, passavano per lamentazioni di un Carrellante in affanno.

Poi, poche settimane fa, in un’intervista rilasciata alla Reuters, a ridosso del primo di novembre, giorno del suo 83esimo compleanno, una leggenda come Gary Player ha fatto giustizia.

Il Cavaliere Nero, che alla sua veneranda età ancora sfida i giovani sul piano dell’efficienza fisica (veramente incredibile, la sua) ha sostenuto esattamente le stesse tesi.

E uno come lui, col suo palmarès di vittorie, non è certo sospettabile di volersi garantire un buono score senza fatica.

Le argomentazioni di Player sono semplicissime: il golf dei professionisti è una cosa, quello dei dilettanti non agonisti un’altra.

Quindi, se si vuole davvero diffondere la pratica del gioco, lasciamoli divertire, allarghiamo i fairway, “ammorbidiamo” i green e facciamoli uscire contenti dal loro giro di 18 buche, così saranno motivati a ritornare.

E se vogliono usare il “puttone”, lo facciano pure. Non è a loro (cioè a noi) che va vietato.

Non ci voleva un genio per capirlo, ma se a dirlo è un vero genio del golf, come lui, magari varrebbe la pena di pensarci.

Lasciateci divertire, dunque, dopodiché ammireremo, come facciamo, le imprese dei grandi che sfidano campi impossibili, così come ammiriamo Federer & C. nel tennis, Hamilton e soci nella F.1, senza minimamente sognarci di poterli imitare; e poi ci appassioneremo alla lotta serrata scatenatasi per il titolo di Numero 1 del mondo (illustrata da Grappasonni nella sua rubrica); ci stupiremo per le “bombe” da 440 metri scagliate dai campioni del “Longest Drive” (raccontate da pag. 20); ma intanto, anche, dovremo confrontarci con i problemi “matrimoniali” che la passione per il golf può comportare .

Ma intanto, grazie di esistere, Gary. E di lottare insieme a noi.

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