Erano i primi anni Settanta, praticamente ormai preistoria. L’austero direttore del circolo (ma si diceva “Segretario”) interroga un ragazzino di 8/9 anni sulla procedura da seguire in caso di palla persa. La scena si svolge al fondo di una scarpata dove il piccolo, fuori gara, aveva maldestramente indirizzato il suo (corto) drive. Dopo uno sguardo verso l’alto la balbettante risposta fu: «…Droppo un’altra palla vicino al posto dove penso sia stata persa la prima, con penalità…». Il segretario, bonariamente scandalizzato ma visibilmente insofferente per l’assurda risposta, gli fa notare che è impossibile sapere dove sia la prima palla, che magari ha colpito un albero o ha rimbalzato su una pietra: proprio perché è stata persa, non si può ragionevolmente individuare il punto dove mettere in gioco un’altra palla. Soprattutto, la fantasiosa procedura è contraria allo Spirito del Gioco e alla precisione che ogni Regola deve avere, pena abusi e approssimazioni inammissibili. Quindi, «anche in allenamento, se vuoi contare lo score risali la scarpata e torna nel punto da dove hai giocato la palla poi persa, con penalità di colpo e distanza». Ci rimasi male, ma capii che era l’unica soluzione sensata. Il fiatone mi insegnò anche a giocare la palla provvisoria più spesso.

Una cinquantina d’anni dopo la fantasiosa procedura è diventata un’opzione di Regola locale consentita dal R&A (Modello E-5), sia pure solo per gare non di alto livello. L’opzione non mi piace per nulla: troppo generica, approssimativa, si presta ad abusi anche involontari e non mi pare possa avere un impatto sulla velocità di gioco migliore di quanto si possa ottenere incentivando la sana abitudine della palla provvisoria. Quindi mi auguro vivamente che i comitati di gara non adottino la possibilità, anche per non sminuire ancora la serietà delle gare di circolo, che comunque sono una linfa importante per la vita sportiva ed economica dei nostri sodalizi.

Anche altre novità introdotte non mi fanno impazzire: l’eliminazione dell’obbligo di togliere la bandiera quando si putta dal green forse può sveltire di qualche minuto il gioco, ma è esteticamente inguardabile. In più, inserisce un elemento di alea che non favorisce l’esattezza del risultato: a volte l’asta aiuta (anche troppo), altre volte invece causa strani effetti. Senza contare che il poetico rumore della palla che cade in buca è rovinato dalla presenza dell’asta. Sarò troppo conservatore, ma vedere anche i pro del circuito imbucare con l’asta mi dà un’impressione di sciatteria e di scarsa solennità del gesto finale. Spero che sull’ultimo green di un Major il vincitore designato non svilisca mai il momento lasciando l’asta in buca.

Il nuovo sistema di droppaggio, da farsi all’altezza del ginocchio, mi pare abbastanza inutile: la posizione eretta mi piaceva di più, quella sì era stata una migliorìa rispetto all’antico sistema del droppaggio all’indietro sopra la spalla, che portava con sé palle “perse” nei cappucci delle felpe o nei colletti dei maglioni o la ripetizione del gesto perché il giocatore era spesso colpito di rimbalzo dalla palla. La modifica va insieme alla riduzione dell’area entro cui la palla deve fermarsi affinché il droppaggio sia valido: aggiustamento coerente, ma non particolarmente significativo.

La riduzione del tempo di ricerca della palla da cinque a tre minuti ha invece un significato concreto per velocizzare il gioco e la ritengo ragionevole. Vedo anche favorevolmente l’eliminazione della penalità per il giocatore che accidentalmente colpisca se stesso o il proprio equipaggiamento con la palla e l’eliminazione della penalità per palla inavvertitamente mossa durante la ricerca: questi cambiamenti sono ispirati a ragioni di equità e non modificano la struttura del nostro sport. Comunque, a tutto ci si abitua e ci si deve abituare.

Quindi studiamo bene i cambiamenti (www.randa.org e www.federgolf.it) e buon golf a tutti!

Da “Il Mondo del Golf Today” n° 299 – marzo 2019

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