La vita golfistica trascorre nel continuotentativo di capire. È, in fondo, una metafora non tanto della vita del singolo, quanto del millenario sforzo dell’umanità di affinare progressivamente le sue conoscenze.

Capire, capire: quante cose cerchiamo di capire. Ma l’impresa non è semplice, come semplice non è stato il cammino dell’uomo verso la consapevolezza, pur illuminato, nei secoli, dalla luce di tanti pensatori illustri.

Qualche esempio: capire perché, tendenzialmente, si commettano sempre gli stessi errori. Sembra facile, ma non lo è. Nonostante che, periodicamente, ci si illuda di aver finalmente capito tutto, fino alla prossima smentita dei fatti.

Prendiamo il caso delle distanze da coprire con i vari ferri. Se la bandiera risulta collocata a una distanza giusta giusta, che so, per un pitch, perché rischiare di restar corti scartando a priori l’ipotesi che il colpo possa non scaturire perfetto e, dunque, perdere qualche metro per via e ritrovarsi addirittura fuori green (se l’asta è corta) oppure a rischio tre putt (se l’asta è lunga)?. Perché non prendere semplicemente un ferro in più, rischiando al massimo di andare un po’ abbondanti, ma in green? Forse perché ogni ferro in più certifica in modo inequivocabile una minor capacità? Mai sia. Se quelli del Tour usano un sand wedge da 120 metri, posso mai io sguainare un ferro 7 per coprire identica distanza? Ne va della reputazione, anche perché, senza andar troppo lontano, lo stesso Carrellante che sta giocando con me da quel punto usa al massimo un ferro 9 per andare in green. E chi sono io, Calimero? Quindi sotto con, al massimo, un ferro 8, per poi verificare che la pallina atterra proprio in quel bunker in linea con la buca dove, in altre occasioni analoghe ho soggiornato tanto a lungo, fra un colpo e l’altro, da dovervi quasi chiedere la residenza all’anagrafe. Sarebbe così difficile capire che è meglio un umile ferro in più piuttosto che cacciarsi nei guai? No, in teoria. Ma non è nemmeno colpa nostra: nella circostanza, soggiacciamo, senza saperlo, a una legge ineludibile. Ovvero, l’eterno ritorno dell’uguale (teorizzato da Federico Nietsche: da cui il famoso “Nietsche, che dice? Boh!”).

Altro caso di scuola. Cercare di capire perché quando c’è un minimo di acqua fra la palla e il green, che sia pure un modestissimo agglomerato di molecole di idrogeno e ossigeno non più largo di 3/4 metri, lo swing repentinamente si rattrappisca, provocando l’immersione della sfera (rimando a Giulio Verne, “Ventimila ‘seghe’ sotto i mari”, dove “seghe” non connota attività autoerotiche, ma definisce semplicemente l’incapacità dei soggetti in questione). Perché, in assenza di acqua, quello stesso colpo, magari di una semplice settantina di metri, atterra ortodosso e morbido nei dintorni della bandiera? Ah, capirlo davvero!

E vogliamo parlare, sapendo di farci del male, della famigerata sequenza palla-zolla e non zolla-palla, zolla-zolla, palla-palla (doppio colpo)? Quale imperscrutabile mistero dobbiamo penetrare per impadronirci una buona volta della tecnica giusta per schiacciare almeno un po’ la maledetta sfera, senza colpirla pulita o addirittura scucchiaiarla?

E ancora: come si fa a capire perché entra in scena il socket, flagello dello score, vituperio delle genti (citazione dall’Alighieri, che di Inferni se ne intendeva), improvviso e inaspettato come una visita della Guardia di Finanza? Quel colpo stregato che, quando arriva, è capace di impadronirsi del tuo corpo e devastarti, di fila, l’esito di tre o quattro buche? Ma soprattutto, come capire quale sia il segreto per esorcizzarlo (non esiste, rassegnatevi: come arriva, così se ne va. Senza una logica)?

Ecco perché la vita del Carrellante si gioca fra due poli opposti: ambirebbe a essere una “Road to Perfection”, un cammino quasi ascetico di continuo miglioramento (rammento ai Confratelli il nostro motto: “Ora et meliora”); si tramuta, invece, amaramente in una “Road to Perdition”, dove il ripresentarsi degli stessi problemi intacca in misura non lieve l’equilibrio nervoso del soggetto. Come testimoniano i mille casi di lanci di ferri, affondamento di sacche nei laghi, ritiri anticipati dalle gare (anche dopo una sola buca). Senza contare sacramenti e imprecazioni varie.

Capire tu non puoi.Tu chiamale, se vuoi, emozioni (Mogol/Battisti). Emozioni, però, di cui il popolo dei Carrellanti farebbe volentieri a meno ma che, tanto vale rassegnarsi in partenza, scandiranno anche i giorni dell’anno in arrivo. E allora, buon anno nuovo lo stesso, nonostante tutto.

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