Per inaugurare questo nostro conto alla rovescia verso il Masters, azzarderei un consiglio contro corrente: non andate, assolutamente non andate mai in vita vostra ad Augusta. La vostra vita, dopo, non sarà più la stessa. Perché, varcato per la prima volta il cancello che introduce alla Magnolia Lane, in un misto di eccitazione, contentezza, incredulità (“…ma sono proprio qua? In questo posto che ho sognato per anni ammirandolo in tv ?”) avrete un solo desiderio: tornare e poi tornare e poi tornare ancora. Praticamente una sorta di dipendenza dalla quale non ci si affranca più, ma finisce con l’avere il suo impatto sul vostro budget annuale. Perché se l’Open Championship è il Golf nella sua accezione originaria, con quei links battuti dal vento dove gli antichi pastori ingannavano il tempo percuotendo palline di fortuna con bastoni di legno, mentre le loro pecore si riparavano dal vento in quelle fosse di sabbia destinate a diventare i famosi bunker del British; se, appunto, l’Open Championship è tutto questo, il Masters è il Masters. Cioè una cosa completamente diversa dalle altre. E tremendamente affascinante nella sua unicità che si ripropone uguale ogni anno ad annunciare che davvero la primavera è arrivata, come sussurrano le migliaia di azalee che lo impreziosiscono. Perché ogni buca restituisce il ricordo di quel colpo di quel campione in quell’anno e chissà questo di anno che cosa ci riserverà. Perché i caddie in tuta bianca creano subito la caratterizzazione e i vecchi campioni che prima giocano il par 3 contest e poi tirano i drive inaugurali del giovedì sono solo qui, sono sempre qui. Con Gary Player che, puntualmente, sfoggia l’efficienza straordinaria del suo fisico a 83 anni suonati, Jack Nicklaus che distribuisce sorrisi e si fa assistere dal nipote e tutti e due volgono gli occhi al posto vuoto che è stato del “Re”, del grande Arnie che purtroppo non può essere più accanto a loro.

Al Masters non si urla, non si corre, non si scattano selfie. Al Masters ci si può imbambolare anche se non sta giocando nessuno, perché lo spettacolo principe è il campo, più e prima ancora del gioco che i campioni sfodereranno. Quel giardino proibito per 51 settimane dell’anno è capace di affascinare anche se vuoto. E’ una piccola, stabile città con le sue costruzioni, le sue vie, i suoi tanti pro shop (il principale sembra…la Rinascente), il faraonico Press Building che nemmeno alla Casa Bianca.

E’ il Masters, punto. E rinunciarci, una volta che lo si è assaporato, risulta davvero difficile.

Seguiteci, da oggi. Cercheremo di farvelo vivere da dentro e al meglio. Non sarà come essere sul posto ma sarà, per voi, molto più…economico.

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