Un contesto affascinante ma surreale: giocare tra torri di roccia e strapiombi da vertigine è un’emozione adrenalinica. Indipendentemente da handicap e score

 

Nell’angolo sud occidentale dello Utah, all’ombra dello Zion National Park, si estende una fascia di terra sabbiosa costituita da silice polverizzata, rossa e compatta, su cui nell’ultimo quarto di secolo sono nati una mezza dozzina di campi da golf a quattro stelle. Qui il nucleo della terra ha fatto breccia dalla superficie con terribile furia, prima di trasformarsi in un meraviglioso paesaggio di torri di roccia rossa, contorte e pendenti, e di canyon di arenaria dalle pareti rigate da ampie pennellate color ruggine, terra d’ombra e salmone e alcuni strati sbiancati dalla pioggia. I livelli più morbidi si sono frantumati e sono stati erosi nel tempo, creando un deserto di dune e avvallamenti così porosi da rendere superfluo un sistema di drenaggio sotto i fairway e i green. I campi da golf più antichi sono Dixie Red Hills, un delizioso nove buche ricavato in un canyon cieco, e Green Spring, un campo pubblico inaugurato nel 1989 con un’esibizione di Johnny Miller, il giocatore più famoso dello Stato (era nato in California, ma studiò alla Brigham Young University di Provo). Il pezzo forte di questa creazione di Gene Bates sono la 5, un par 3, e la 6, un par 4, che richiedono, entrambe, un secondo colpo al green sopra una disordinata distesa di rocce frastagliate. Intorno al resto del percorso sono ora sorte delle case; ma da molti punti è ancora possibile osservare la distesa desertica.

Altri campi, come Sunbrook ed Entrada at Snow Canyon (quest’ultimo una tipica creazione di Johnny Miller, realizzata in collaborazione con Fred Bliss), sembrano essere stati direttamente trapiantati da Palm Springs o Scottsdale, con le loro palme e i corsi d’acqua. Ma entrambi integrano nella loro architettura scorci di paesaggi spogli e sezioni che si snodano lungo letti di roccia vulcanica nera. Dei due campi, Entrada – con il suo triangolo di buche circondate da roccia vulcanica nelle seconde nove – offre un paesaggio molto più desolato, selvaggio e minaccioso, specie quando soffia il vento, cioè spessissimo.

Il Coral Canyon, il cui nome calza a pennello, si snoda sotto l’orizzonte tra rocce colorate in varie sfumature di rosa. Un progetto di Keith Foster, si apre con due par 5 consecutivi, ma la parte più emozionante del percorso sono due eccezionali buche corte, il par 3 della 6, che richiede un pitch e dove un piccolo green è circondato da massi e rocce, e il par 4 della 8, che permette di usare il driver, stuzzicando il giocatore con le sue 312 iarde (285 m) dai tee più arretrati e 263 (239 m) dai tee regolari, e una gola subito a sinistra della buca. Appena a sudest di Coral Canyon si trova la vera attrazione della zona, Sand Hollow Resort, 27 buche progettate da John Fought, ex campione dello US Amateur e due volte vincitore nel PGA Tour. Le prime nove delle 18 buche del percorso da campionato si snodano tra distese di artemisia e intorno a imponenti ammassi rocciosi, con molte collinette sui fairway e ancora di più sui green. Il panorama sovrasta ogni cosa con le sue formazioni rocciose e le sue catene montuose, che però sono presto dimenticate una volta arrivati alle seconde nove. Salire alla buca 11 è come salire sul ciglio del mondo. Al di là del green, che in questo par 3 in discesa si trova in cima a uno sperone roccioso, c’è un ampio burrone che si estende per molte miglia. Lungo il suo ciglio si trovano le quattro buche successive, posizionate in modo da dare quasi le vertigini, con un dislivello di trenta metri o più dal lato sinistro di ogni buca e con alte pareti a strapiombo sul lato destro in tre delle quattro buche. La topografia lungo questo margine dello sperone roccioso offriva le dimensioni perfette per creare le buche, ci ha spiegato Fought, richiedendo soltanto di chiudere una piccola apertura che correva attraverso quello che ora è il fairway della 12. Il corto par 4 della 13 sta giusto giusto in cima a una sporgenza (questo è l’unico fairway dove i cart non sono ammessi), e il par 4 della 14, in discesa sul dorso di una collina, dà l’impressione di sfrecciare giù come in una pista da bob. L’ultimo colpo di Sand Hollow sul ciglio del burrone è quello della 15, con 230 iarde (210 m) dal tee arretrato e in posizione bassa, un colpo fattibile se riesci a infilare un legno tra monoliti di roccia. Ma la buca è più gestibile dai tee regolari a destra, in posizione elevata, anche se comunque il ciglio del burrone lascia poco margine d’errore intorno al green. Le ultime tre buche, posizionate lontano dalla sporgenza rocciosa, non sono tuttavia meno emozionanti, specialmente perché il par 5 della 17 ha un ostacolo trasversale del tutto simile al dirupo di una scarpata. Dall’altra parte del campo pratica c’è un campo a nove buche, The Links, più “rustico” per aspetto e manutenzione ma ugualmente coinvolgente, con lunghe pareti di pietra lavica che intersecano le buche, e il par 4 della buca 5 modellato secondo la famosa Road Hole dell’Old Course a St. Andrews.

In conclusione, il sud dello Utah è una Mecca del golf non ancora del tutto esplorata. Con l’altitudine l’aria si fa più rarefatta e asciutta, il che favorisce il volo della palla facendola anche rotolare meglio sul fairway. È possibile giocare per gran parte dell’inverno e le tariffe sono più che abbordabili. Inoltre, quella magnifica catena montuosa che si staglia sullo sfondo di ogni campo da golf sono le Pine Valley Mountains. Questo sì che è golf.

Da “Il Mondo del Golf Today” n° 303 – luglio 2019

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here